Produzione Teatro Nucleo
Regia Natasha Czertok, Martina Pagliucoli
Drammaturgia Greta Marzano
In scena Riccardo Sergio, Francesca Tisano
Animazioni grafiche Giulia Osti
Premio della Critica “Paola Scialis” 2019
Lo spettacolo è stato pensato e creato per un pubblico di bambini dai 6 ai 13 anni. E’ un atto unico della durata di 50 minuti, ispirato al dramma L’eccezione e la regola di Ber tolt Brecht e al video-documentario Land Rush (2012) di Hugo Berkeley e Osvalde Lewat.
Lo spettacolo prende le mosse dalla volontà di raccontare ad un pubblico giovanissimo una delle facce più nascoste dell’odierno sfruttamento globale: quello delle risorse agricole. Con i metodi del vecchio colonialismo, infatti, al giorno d’oggi sterminate porzioni di terra coltivabile in Africa, America Latina e Sud-Est Asiatico vengono sottratte alle popolazioni locali per essere sfruttate dalle multinazionali dell’industria alimentare ed energetica.
Un disastro antropologico a tutto tondo, dato che le massicce produzioni di soia, olio di palma, caffè, mais, canna da zucchero ecc. non solo riducono la biodiversità dei paesi oggetto di questo sfruttamento, ma rappresentano un fattore di disgregazione per le comunità che li abitano. Intere culture, insieme alle tradizioni agricole che le hanno caratterizzate per millenni, spariscono sotto il peso delle richieste energetiche del mondo industrializzato.
Accade oggi in Mali, ad esempio, dove il governo locale concede vasti appezzamenti alle industrie europee, americane, cinesi, indiane, giapponesi e dove – al posto delle antiche colture di cereali e ai tradizionali, preziosi, alberi di karitè – vengono imposte le piantagioni di canna da zucchero, di jatropha e altre piante. Ma accade anche sotto i nostri piedi, in Italia. In pianura padana, infatti, ogni giorno viene perduto terreno agricolo equivalente a sette volte piazza Duomo a Milano. La causa di questo scempio non è solo la cementificazione ma anche la produzione di bio-carburanti, ultima speculazione del mercato energetico e dei trasporti.
[justified_image_grid ids=6406,6407,6408,6409,6410,6411,6412,6413,6414 caption=off mobile_caption=off]
Per parlare al giovane pubblico di un tema così complesso e ramificato, nel 2014 – anno internazionale dell’agricoltura familiare – abbiamo scelto di raccontare l’aspetto che riguarda più strettamente la vita quotidiana dei piccoli consumatori di oggi: il junk-food, ovvero il cibo-spazzatura. Non c’è alcun dubbio, infatti, che tutte le odierne campagne pubblicitarie della macro-industria alimentare individuino nei giovanissimi uno dei loro principali obiettivi commerciali.
La narrazione scenica di Chenditrì prende le mosse da uno degli ingredienti più amati dai piccoli e meno piccoli, presente in moltissimi alimenti di largo consumo: lo zucchero che, nella finzione scenica, si trasforma nella magica e fascinosa “caramellina”.
Il tono e i modi che sostengono il racconto sono quelli della fiaba. Il buio, le ombre, l’albero “cartone animato”, le musiche che accompagnano le scene, la parodia del linguaggio pubblicitario, le leggi della comicità, sono i mezzi immaginifici per comunicare e far riflettere gli spettatori sui piccoli e grandi inganni del loro tempo. Il meccanismo drammaturgico del “doppio finale” stimola il giovane pubblico ad una riflessione e ad una partecipazione attiva.
Siamo a Balalla, ai confini del deserto. Langmann, mercante di caramelle, viaggia per collaudare la sua ultima invenzione: la caramellina, un seme che in pochissimo tempo fa crescere enormi alberi di caramelle.
Langmann raggiunge le antiche piantagioni per impossessarsene e piantare i suoi semi prodigiosi. Là incontra Idrissa, l’ultima contadina rimasta a prendersi cura delle terre . Da tempo, infatti, Balalla è in preda alla siccità che ha spinto i contadini a lasciare le campagne per cercare fortuna altrove. Idrissa, però, non è completamente sola: il suo amico spaventapasseri ravviva l’orto pizzicando le corde di un contrabbasso.
Quando Langmann incontra Idrissa ha con sé delle car te che parlano chiaro, il governo di Balalla lo autorizza a tagliare tutti i suoi alberi e tutte le sue piantine rinseccolite per i suoi Candy Tree.
Cosa succederà a questo punto? Che ne sarà delle antiche piantagioni di Balalla? Langmann riuscirà a trasformare l’intero paese in una fabbrica di caramelle?
RECENSIONI
“…Come può allora uno spettacolo parlare ai bambini dello sfruttamento della terra che, devastando antiche e tradizionali coltivazioni, impone prodotti favorendo le grandi industrie occidentali e giapponesi? Certo non è semplice, poiché la tematica potrebbe risultare troppo estranea e lontana ai loro interessi. Ma anche in questo il Teatro Nucleo ha vinto la sfida. Il linguaggio utilizzato, sia dal punto di vista attoriale che drammaturgico, è semplice, coerente ed efficace. I bambini vivono la prepotenza di Langmann, protagonista “cattivo” che impone con l’inganno la coltivazione dell’albero di caramelle nel paese immaginario di Balalla. Un albero quasi miracoloso, così lo pubblicizza Langmann (interpretato magistralmente da Natasha Czertok) alla contadina locale Idrissa (la giovane Martina Pagliucoli), ultima contadina rimasta, apparentemente fragile ma che saprà risolvere con intelligenza la spinosa questione. Idrissa è un personaggio che mette a fuoco, al di là di falsi buonismi e senza cadere nei clichè rappresentativi di una classe sociale, una realtà antropologica, umana e storica. Un personaggio sfaccettato e difficile da far vivere. La Pagliucoli riesce a donarle i mille colori della personalità, quasi in rappresentanza di tutti quegli “ultimi” contadini che in giro per il mondo lottano per le loro terre. La storia viene accompagnata da un disegno luci e una scenografia poetici ed evocativi, proiezioni video e giochi d’ombre. Lo spettacolo coinvolge tutto il pubblico, immergendo lo spazio del Teatro Potlach in un silenzioso fremito, risvegliando un’attenzione particolare.
E se per tutto lo spettacolo i bambini hanno naturalmente desiderato quelle tanto pubblicizzate caramelle, sul finale cipollotti, verza, mele e ravanelli risulteranno otterranno invece la loro rivincita…”
(Manuela Rossetti – Krapp’s Last Post)
“Per essere riusciti a raccontare la storia della perdita della tradizione contadina a scapito del sistema capitalistico senza mai perdere di vista i bisogni di un un pubblico infantile, ma riuscendo al tempo stesso a non cadere nella trappola della storia esemplificativa e predicatoria. Per la ricca orchestrazione di immagini oniriche e suggestive, capaci di pescare a piene mani nella memoria collettiva (dal Pinocchio collodiano, alle favole di Calvino passando con ironia graffiante sulle derive di certo linguaggio televisivo e pubblicitario) ben calibrate dal gesto marionettistico degli interpreti e da un sapiente uso delle musiche di scena. Per l’ironia acidula del doppio finale che ha tutto il sapore della narrazione sperimentale alla Resnais, senza diventare vuoto esercizio intellettuale. E, infine, per le patate e per le zucchine che davvero possono essere più dolci delle caramelle se le si manda giù con un pizzico di fantasia e una spolverata di buonumore.”
(Premio della Critica “Paola Scialis” a cura di Alessandro Izzi, Motivazioni della Giuria)
Una drammaturgia originale, una fiaba contemporanea, giocata fra due personaggi: l’eccentrico Langmann, venditore e inquietante inventore di caramelle – un cappellaio matto o un Willy Wonka del lato oscuro – e Idrissa, contadina vagamente hippy affezionata alle sue creature, ovvero le sue amate verdurine.
Langmann arriva a Balalla (il paese di Idrissa) all’improvviso e di soppiatto e, con in mano un accordo col governo di turno, promette a Idrissa agio e ricchezza in cambio delle sue terre (in una transazione dalle modalità poco chiare). L’enigmatico mercante è in possesso del seme del Chenditrì, ricco di caramellina, sostanza quasi magica (che crea dipendenza, un po’ come lo zucchero), e giunge in paese con il progetto di impiantare una coltivazione di alberi di caramelle e, soprattutto, di creare caramelle al gusto di tutti gli alimenti per sostituire finalmente il cibo (con la promessa di un grande guadagno di tempo per tutti).
In scena, fra Idrissa e Langmann si scontrano due mondi, e con essi due concetti di tempo, quello legato ai ritmi della terra e quello cosiddetto liberato dalle fatiche e, per l’appunto, “guadagnato”; due idee di cibo, quello che nasce dalla terra, e quello “fortemente modificato” – diciamo così -, non più connesso alla natura, ma anche alle tradizioni e ai riti collettivi (aspetto particolarmente evidente nel momento pubblicitario, quando con una caramella si pretende di sostituire la grigliata o il caffè del mattino, ossia momenti fortemente rituali che viviamo ancora oggi).
Per convincere Idrissa e i bambini dei suoi intenti, Langmann si serve di una carrellata di topoi della propaganda legata alla produzione intensiva: il tipico “passo nel cammino verso il progresso” – ossia la prospettiva di maggiore ricchezza, di una vita più agiata per i contadini, e del guadagno di tempo.
Eppure, ed è un tratto molto interessante, Langmann non è esattamente un cattivo; al contrario, assume accenti anche teneri e spaesati quando si confronta coi tempi e gli spazi che non conosce – quelli della campagna – e mentre difende la sua posizione e i suoi ideali.
Chenditrì è una fiaba che si legge a vari livelli, con effetti talvolta anche discordanti: sentire parlare Langmann di governo, di prodotti di sintesi di laboratorio, di ipermercati e cemento, con riferimenti molto espliciti alla realtà contemporanea, risulta vagamente didascalico in una narrazione per bambini, dai caratteri più sognanti – ammesso e non concesso, però, che in questo momento storico e politico trasfigurare la realtà sia una scelta migliore rispetto al chiamare le cose con il proprio nome.
Colpisce e inquieta, inoltre, per chi abbia conoscenza del problema dei brevetti sui semi, la battuta di Langmann quando, con un ribaltamento di prospettiva, teme che sia la contadina a rubargli il seme di Chenditrì.
Il pregio fondamentale del lavoro è quello di suggerire ai bambini che i prodotti che troviamo sui banchi dei negozi hanno una storia e una provenienza. Non solo questo, però, perché con una trama fra il surreale e il crudemente realistico, Chenditrì racconta anche delle dinamiche che sottostanno alla produzione agricola intensiva – che sfrutta territori lontani nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Nell’acquistare i prodotti alimentari tutti noi siamo chiamati a compiere delle scelte, delle quali spesso non siamo consapevoli. Questa storia ci ricorda che ogni volta che acquistiamo un prodotto ci sono dei valori che, più o meno inconsciamente, stiamo abbracciando. Intensivo o sostenibile, geneticamente modificato o biologico? Km zero o provenienza estera? Multinazionale o prodotto locale? Coldiretti o supermercato? A ogni prodotto si associa, inevitabilmente, un’etica. Come i piccoli spettatori, ammaliati da Langmann e dalle sue caramelle, siamo spesso incapaci (o forse siamo semplicemente disinteressati?) di guardare al senso delle nostre scelte in termini etici, di impatto ambientale e ricaduta sociale. Ciò che conta, per noi, sono solo la comodità, il prezzo e il vantaggio immediato.
La reazione dei bambini del pubblico, presi dal desiderio delle caramelle e letteralmente entusiasti all’idea di avere più tempo a disposizione, si rivelata una dimostrazione pratica del funzionamento dei meccanismi del desiderio all’opera nelle strategie di marketing da cui, spesso, ci lasciamo catturare.
E se per un bambino lasciarsi trasportare dal desiderio delle caramelle è quasi un fatto naturale, diventa interessante chiedersi se gli adulti non si stiano comportando esattamente allo stesso modo, e stiano mostrando la mancanza di responsabilità e autonomia che, al contrario, l’età cosiddetta matura possiederebbe (almeno per definizione). Siamo indifferenti? Inconsapevoli? O forse siamo schiacciati dall’enormità del sistema?
A ognuno la propria risposta.
(Mailè Orsi, Persinsala)
“Tutti i camini del mondo in una sola notte: è un viaggio lungo e molto impegnativo. E così capita che Babbo Natale, a volte, anticipi le sue incursioni, ma accade solo in occasioni veramente particolari, come domenica pomeriggio nella sala parrocchiale di Pontelagoscuro, dove ha portato i suoi doni sotto un albero speciale: ‘Chenditrì. Ovvero l’albero delle caramelle’.
Siamo a Balalla, ai confini del deserto. Langmann, strano e ambiguo mercante di caramelle, viaggia per collaudare la sua ultima invenzione: la caramellina, una sostanza zuccherina creata in laboratorio della quale, una volta assaggiata, i bambini non possono più fare a meno. Dalla caramellina Langmann è anche riuscito a ricavare anche un seme, che in pochissimo tempo fa nascere gigantesche piante caramellose.
Il perfido mercante raggiunge antiche piantagioni per impossessarsene e piantare i suoi semi prodigiosi. Purtroppo ha vita facile perché da tempo Balalla è in preda alla siccità, che ha spinto i contadini a lasciare le campagne per cercare fortuna altrove. Ma non Idrissa, l’ultima contadina rimasta a prendersi cura delle terre. Quando Langmann incontra Idrissa ha con sé delle carte che parlano chiaro: “Il governo di Balalla mi autorizza a tagliare tutti i tuoi alberi e tutte le tue piantine rinseccolite per i miei Candy tree”.
Solo così Langmann convince Idrissa, preoccupata dei suoi carciofi, delle sue patate, dei suoi finocchi e ravanelli e dei loro semi “tramandati dai miei nonni”, a cedere le sue terre.
Che ne sarà delle antiche piantagioni di Balalla? Langmann riuscirà a trasformare l’intero paese in una fabbrica di caramelle?
È il pubblico a decidere, a decretare l’epilogo. E se per tutto lo spettacolo i bambini hanno naturalmente desiderato quelle tanto pubblicizzate caramelle, sul finale le verdure (incredibilmente) hanno ottenuto la loro rivincita.
Langmann-Natasha Czertok è suadente e coinvolgente, quasi il sindaco di un moderno Paese dei Balocchi, tanto luccicante quanto insidioso e ingannevole, ma Idrissa-Martina Pagliucoli è intelligente e saggia, nel suo cuore e nel suo amore per il duro e paziente lavoro nei campi c’è la sapienza delle generazioni di contadini che hanno convissuto con Madre Terra, rispettandola.
Applicando al teatro per ragazzi il concetto di dramma didattico di Bertolt Brecht, le registe e interpreti di ‘Chenditrì’ – atto unico con la drammaturgia di Greta Marzano – Natasha Czertok e Martina Pagliucoli riescono a parlare ai bambini della biodiversità e delle lotte dei contadini contro l’odierno sfruttamento globale delle risorse agricole. E, particolare niente affatto trascurabile, lo fanno divertendoli.
‘Chenditrì’ è una bella favola di Natale e il vantaggio del teatro è vederla dispiegarsi dal vivo davanti ai nostri occhi”.
(Federica Pezzoli, FerraraItalia)