Le Magnifiche Utopie, stagione teatrale ideata da Teatro Nucleo per nutrire i sogni e le visioni, per sostituire “l’aver cura” alla “chiusura”, proseguirà sabato 19 dicembre alle ore 18 con lo spettacolo Chenditrì, ovvero l’albero delle caramelle in una versione video-teatrale trasmessa dalla pagina Facebook di Emilia Romagna Creativa – il portale della Regione Emilia-Romagna sugli eventi e i temi della vita culturale regionale – e su Lepida TV grazie alla collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna. I commenti, le domande, le impressioni raccolti durante e dopo la visione della versione video-teatrale di Chenditrì saranno raccolti per dar vita, martedì 29 dicembre alle ore 18, a un dialogo di approfondimento su ambiente, biodiversità e arte con la presenza di esperti del settore trasmesso dalla pagina Facebook di Teatro Nucleo.
Il nutrimento e l’aver cura, parole chiave che hanno guidato Teatro Nucleo nella definizione della programmazione di questa stagione teatrale – iniziata il 25 novembre per proseguire fino a maggio 2021 con 12 appuntamenti – sono molto ben rappresentate da Chenditrì, spettacolo di teatro per ragazzi, che racconta una delle facce più nascoste dell’odierno sfruttamento globale – quello delle risorse agricole.
Ispirato al dramma L’eccezione e la regola di Bertold Brecht e al video-documentario Land Rush di Hugo Berkeley e Oswald Lewat, Chenditrì condurrà il pubblico nel regno di Balalla, dove con il perfido mercante Langmann e la resiliente contadina Idrissa gli spettatori faranno esperienza dello sfruttamento intensivo della terra. Sottratte alle popolazioni locali e alle colture autoctone, sterminate porzioni di terreno coltivabile vengono infatti sfruttate dalle multinazionali del settore alimentare ed energetico, impoverendo la biodiversità e disgregando le comunità. Accade in Africa, in America Latina, nel Sud-est asiatico, ma succede anche molto vicino a noi, nella Pianura padana, ad esempio, dove ogni giorno viene perduto terreno agricolo equivalente a sette volte Piazza Duomo a Milano sia a causa della cementificazione che per la produzione di bio-carburanti, ultima speculazione del mercato energetico e dei trasporti.
Con la drammaturgia di Greta Marzano e la regia di Natasha Czertok e Martina Pagliucoli, Chenditrì nel 2019 è stato insignito del Premio Paola Scialis “per essere riusciti a raccontare la storia della perdita della tradizione contadina a scapito del sistema capitalistico senza mai perdere di vista i bisogni di un pubblico infantile, ma riuscendo al tempo stesso a non cadere nella trappola della storia esemplificativa e predicatoria. Per la ricca orchestrazione di immagini oniriche e suggestive, capaci di pescare a piene mani nella memoria collettiva (dal Pinocchio collodiano alle favole di Calvino, passando con ironia graffiante sulle derive di un certo linguaggio televisivo e pubblicitario), ben calibrate dal gesto marionettistico degli interpreti e da un sapiente uso delle musiche di scena. Per l’ironia del doppio finale che ha tutto il sapore della narrazione sperimentale alla Resnais, senza diventare vuoto esercizio intellettuale. E, infine, per le patate e per le zucchine che davvero possono essere più dolci delle caramelle se le si manda giù con un pizzico di fantasia e una spolverata di buonumore”.
Sabato 19 dicembre alle ore 18, per un pubblico di bambini e ragazzi ma non solo, Chenditrì – che in questa versione viene affidato all’interpretazione di due giovani attori, Riccardo Sergio e Francesca Tisano – porterà avanti la stagione teatrale Le Magnifiche Utopie, pensata per essere realizzata in presenza al Teatro Julio Cortàzar (via della Ricostruzione 40, Pontelagoscuro – Ferrara) in dodici appuntamenti fino a maggio 2021 e che, fino a quando non sarà nuovamente possibile aprire il teatro al pubblico, avrà luogo in forme alternative di fruizione, per continuare a prendersi cura degli spettatori, del proprio territorio, del Teatro Julio Cortàzar, sempre vivo anche in un momento in cui il suo spazio fisico non può essere attraversato.
Le Magnifiche Utopie
Le Magnifiche Utopie è il nome che Teatro Nucleo a partire dalla prima metà degli anni Ottanta ha dato alla propria progettualità inerente al teatro negli spazi aperti. Parte di questa storia è anche l’immagine scelta per la Stagione che – nello scatto, riattualizzato, di Luca Gavagna – ritrae Paolo Nani in Spagna, a Castilla de la Mancha, nel 1988 in una tournée di Teatro Nucleo dedicata agli spazi aperti. “Aperti” sono tutti quegli spazi fisici e spirituali, privati o istituzionali, emotivi e immaginari che sentono la necessità di aprirsi alla bellezza, alla poesia, all’arte e quindi al teatro: non solo le piazze, le strade o i luoghi pubblici. Tutti quei “luoghi” che hanno urgenza di trasformarsi in qualcosa di ancora irrealizzato, e trovano con il teatro la strada per farlo.
La stagione teatrale Le Magnifiche Utopie si pone nella prosecuzione ideale di questo progetto, ed è quindi articolata in una pluralità di proposte aperte a diversi pubblici. La sua prima parte, dopo l’apertura del 25 novembre 2020 con Kashimashi di e con Natasha Czertok, proseguirà il 19 dicembre 2020 con Chenditrì, spettacolo per ragazzi di Teatro Nucleo dedicato ai temi dell’ecologia e della biodiversità; il 16 gennaio 2021 con InCerti Corpi di Teatro dei Venti, spettacolo con Francesca Figini sul corpo delle donne; il 30 gennaio 2021 con L’Istruttoria di Peter Weiss, lettura attiva a cura del Laboratorio Atlante di Teatro Nucleo dei testi del primo processo sulla Shoa; il 21 febbraio 2021 con Moby Dick di Drammateatro, con la regia e l’elaborazione drammaturgica di Claudio Di Scanno ispirata al grande romanzo di Herman Melville e a Tre scene da Moby Dick di Alessandro Baricco. Le modalità di fruizione degli spettacoli – se in presenza o in altre forme – saranno di volta in volta definite e comunicate in base alle disposizioni vigenti.
«Ci piacerebbe che la parola chiusura potesse essere sostituita dalla parola cura.
È necessaria la “cura” per superare una crisi. Per quel che possiamo, vogliamo continuare ad avere cura del nostro lavoro, del nostro teatro, tenendolo aperto e rendendolo un luogo in cui sentirsi sicuri, trovare nuovi riferimenti capaci di rafforzare il senso d’appartenenza ad una comunità, favorire l’incontro».
Perché il Teatro è la Polis e la polis è aperta, in continua trasformazione, e avanza sempre come la vita.