Guernica! (1999)

GUERNICA! (1999)
ASESINOS DE MARIPOSAS

Messa in scena e Drammaturgia Cora Herrendorf e Horacio Czertok
Sculture di scena Guillermo “Marsilio” Mac Lean
Direzione musicale Cora Herrendorf
In scena Alessandro Bigi, Antonio Dondi, Cora Herrendorf, Frida Falvo, Lara Patrizio, Luca Piallini, Mihalis Traitsis, Antonio Tassinari, Nicoletta Zabini

“Chi credete che sia un artista?
Un imbecille che ha solo gli occhi se è pittore,
le orecchie se è musicista, o una cetra in ogni meandro del cuore se è poeta, quasi che un pugile dovesse essere solo muscoli?
Al contrario, l’artista è anche un essere politico sempre allerta di fronte ai fatti strazianti, ardenti o dolci di questo mondo, interamente forgiato da e su di essi.
Come potrebbe disinteressarsi degli altri uomini e, in virtù di non so quale eburnea indifferenza, distaccarsi dalla vita che essi arrecano in così gran copia?
No, la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti:
è uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico.”

Pablo Picasso


LO STRABISMO DELLA GUERRA
di Cristina Gualandi

Ciò che resta dopo un massacro non sono soltanto rovine e segni di esso.
Più forte e risoluta può tornare la memoria di ciò che è accaduto e di ciò che c’era, intatto, prima.
Persino dopo il più efferato dei massacri che l’occidente ricordi, l’Olocausto, qualcosa di vivo era tornato fra noi con Tempesta, la messinscena con la quale ci eravamo separati la scorsa stagione dal Teatro Nucleo.
Lo spirito vitale rinasce, con il lavoro degli artisti (poeti, musicisti, pittori, scultori, danzatori, teatranti)…e degli angeli.
Generali nazisti e fascisti possono interrompere le vite degli Yitzahak Katzenelson, dei Federico Garcia Lorca, seminare panico e morte, eppure.
La morte procurata dai loro armamenti non è sufficiente e si befferà anche di loro.
E non paia una misera consolazione, perché evidentemente consolazione non c’è.
Ma ciò che resterà dopo il massacro sarà almeno il tentativo del ritorno, forse ‘inaudito’, che può la creazione artistica, quando nella propria piena consapevolezza saprà farsi spugna, di memoria e impegno civile, come l’arte del Teatro Nucleo è da sempre pronta a fare.


Gli artisti…e gli angeli, che in molti casi sembrano gli uni emanazione degli altri.
Come è stato per Paul Klee, grande tra i grandi pittori veggenti del nostro Secolo, e per i suoi innumerevoli angeli quasi umani, che nel precipitare fra noi qualcosa di ciò che sta oltre la soglia dell’umano hanno dimenticato.
Uno di questi, l’Angelo della Storia della fine degli anni ’30, con le ali catturate dal futuro e lo sguardo che lambisce le macerie del passato, ci accompagnerà ad oltrepassare la soglia del millennio, icona moderna così gravida di senso.
Tutto questo dire di angeli perché è proprio uno di essi, dal nome spagnolo e familiare di Pepa, che apre e chiude con i suoi occhi spalancati in uno sguardo brillante quest’ultimo lavoro del Teatro Nucleo.
Un angelo un po’ come quelli di Klee, precipitato o gettato in mezzo alla Storia, compromesso con la transitorietà e la caducità del mondo, un essere-mezzo, pericolosamente simile all’uomo, spirito custode degli elementi (acqua,terra,fuoco) e perciò della vita e della morte che essi recano con sé, costretto a servire l’attesa che è dell’uomo, la sua incapacità di darsi risposta e pace, il suo attendere a giorni di cui, ora che è qui, anche lui non ‘ricorda’ più tutto.
Questa creatura precipita in Spagna, alla metà degli anni ’30, come insieme ad esso ‘precipitano’ in un particolare stato di grazia e generosità molti giovani da tutta l’Europa e dal mondo, armati della loro sola idealità.

La libertà della gente spagnola era in pericolo, in una Europa nella quale proprio questo popolo rappresentava ormai l’unica possibilità di fare arrestare il corso catastrofico di quegli anni della nostra storia.
Non è andata così.

Non negli anni ’30. L’Europa ha dovuto scontare nei dieci anni che ne sono seguiti milioni di perdite, prima che potesse andare così.
Ma quei giovani non lo sapevano…e nemmeno l’Angelo lo sapeva più. Perciò le Brigate Internazionali si sono costituite, e così ha inizio, col sorriso, lo stupore, l’idealismo entusiasta di quei giovani, anche questa messinscena del Teatro Nucleo.
Lo sguardo è quello di ieri, delle parole e delle immagini dei poeti di lingua spagnola che si strinsero intorno alla bandiera degli ideali repubblicani, degli intellettuali che ferocemente si schierarono.
Perciò nessun’altra parola pronunciano gli attori se non il dolore, la pena, l’orrore, lo struggimento, la rabbia, il furore di Rafael Alberti, Federico Garcia Lorca, Leon Felipe, Pablo Neruda, Miguel Hernandez, Antonio Machado, Guillermo Mac Lean, Dolores Ibarruri, che composte ad alcune canzoni popolari costituiscono il tessuto verbale di questa messinscena.
Lo sguardo è quello di oggi.
Su tutta la narrazione grava il saputo, il senno di poi e la condizione di questo nostro presente di guerra, incombe fin dal principio il presagio di morte: una piccola bara bianca, portata dall’Angelo.

Lo spettatore è invitato a far convergere più sguardi (del passato, di oggi e forse del futuro), a comporre più piani dell’azione o più punti di vista (scene corali si alternano a scene composte da azioni alternative e simultanee) e diverse sonorità del racconto (più lingue, e poi canto, musica, parola, rumore).
Perché siamo portatori di “strabismo interiore”, di divergenze assolute, siamo infaticabili generatori di opposizioni.
Moltiplichiamo le vie e le facciamo cozzare, vogliamo e interrompiamo la festa, edifichiamo città e creiamo macerie, opponiamo i colori e a volte scegliamo di uccidere i nostri figli, di torturare i nostri stessi fratelli.
Ieri come ancora oggi.

E su tutto ciò l’Angelo non può nulla. Soltanto il suo “sguardo diretto” su ciò che accade, attonito ma anche di distaccata pietà potrebbe dirci qualcosa, mentre accompagna infine questi giovani arrivati fin qui per difendere la libertà di tutti, partire per un fronte che li vedrà né vincitori né vinti, ma forse più tragicamente sacrificati sull’altare della nostra cecità.