… Ma vogliamo sentire diverso, cantare mille lingue e colori
danzando una danza straniera, verso un mondo senza più predatori.
Ma noi faremo diverso, spezzando l’infame spirale
la storia dei nonni ci insegna, ogni uomo è diverso ed eguale.
L’idea, l’urgenza per questo nuovo spettacolo comunitario è cresciuta in noi alcuni mesi fa, quando le strade del nostro paese/quartiere hanno iniziato a popolarsi più massicciamente di facce nuove, diverse.
Come in tutta Italia, come nell’intero continente, anche Pontelagoscuro vede l’arrivo di nuovi colori, nuovi suoni e parole; profughi giovanissimi, ragazzi africani giocando al pallone sul campetto in riva al grande fiume nella lunga attesa di un permesso di soggiorno, giovani e meno giovani donne dell’est accudendo i nostri anziani più bisognosi, famiglie magrebine o pakistane come nuovi vicini di casa.
Tutti alla ricerca di pane e lavoro, pace e futuro, tutti sognando una patria nuova.
Comprendere quelle vite, accettarne le diversità, impegnarsi per una convivenza armoniosa e fertile non è cosa che accade per incanto – non per definizione ideologica, non per identità religiosa – è un percorso concreto e faticoso di conoscenza quello che deve essere intrapreso, se non si intende essere preda dei bassi istinti, dei luoghi comuni, della becera intolleranza – così pericolosamente incombenti e spesso moneta corrente nella società contemporanea – di cui certo la nostra comunità non può ritenersi immune, come non lo è il nostro gruppo comunitario che di essa è specchio.
Così, dopo “Il Paese che non c’è”, che nel 2006 segnò la nascita del gruppo, in cui si ricostruiva la memoria di Pontelagoscuro e, attraverso la trasfigurazione epica del teatro, gli si faceva dono di una nuova e presente dignità; dopo “Gran Cinema Astra” dove, nel 2009, un importante tratto della storia d’Italia post guerra riviveva nelle vicissitudini quotidiane del vecchio cinema del paese e dei suoi avventori; dopo “Liber/Azione” che dal 2010 portiamo ogni anno in piazza a Ferrara nel tentativo di rendere attuale e vivo il 25 aprile, i valori fondanti della resistenza e la riconquista della libertà aldilà delle celebrazioni formali; oggi con “La Patria Nuova” raccontiamo quando gli emigranti fummo noi, facciamo memoria dei nostri nonni e bisnonni che in ventisette milioni, a cavallo tra ottocento e novecento, furono costretti ad abbandonare tutto e partire per le “americhe”, affrontando viaggi interminabili e spesso terribili.
Fra dato storico e finzione siamo partiti – accompagnandoci con i canti della tradizione popolare ma anche con canzoni originali com’è prassi comunitaria – insieme ad una famiglia pontesana che nel 1871 decise di affrontare l’oceano – così immensamente simile al deserto che oggi affrontano le centinaia di migliaia di diseredati africani – fuggendo dalla miseria, dalla fame, delle condizioni intollerabili di sfruttamento e diseguaglianza di allora per tentare davvero di riconoscerci, compenetrarci e specchiarci nei migranti che oggi, per la stessa miseria, la stessa fame, la stessa mancanza di giustizia – di cui noi occidentali siamo per di più largamente responsabili – bussano alle nostre porte e ci interrogano.
Continuiamo dunque con “La Patria Nuova” il nostro ostinato cammino, l’esercizio, la pratica collettiva della memoria attraverso la pratica teatrale che è sempre, per noi comunitari, un motore di formazione personale e di trasformazione sociale, verso il sogno utopico di una comunità creativa, giusta e solidale.