Eresia (1980)

ERESIA (1980)

Diretto da Cora Herrendorf e Horacio Czertok

In scena Fabrizio Bonora, Annarita Fiaschetti, Cora Herrendorf, Paolo Nani, Silvia Pasello, Puccio Savioli, Antonio Tassinari, Nicoletta Zabini

Eresia è immaginato come un sogno di Gombrowicz mentre finalmente ritorna in Polonia dopo una lunga permanenza in Argentina. Di Jorge Luis Borges si è preso in prestito Labirinto, poema che apre lo spettacolo, anche come simbolo delle ricorrenze che il Nucleo ha trovato tra il suo lavoro e la Poesia.

Lo spettacolo nasce come assemblaggio di partiture preparate individualmente da ognuno degli attori. Il filo conduttore della vicenda è una sorta di vergine nera. Una storia forse un po’ epica, eresia teatrale, eresia di linguaggio, eresia ideologica. Flash di danze e musiche, giochi drammatici che iniziano e finiscono nel giro di pochi minuti.

Recensione

“Senza farsi intrappolare dai bisogni del mercato, gli attori del Nucleo vogliono assumere atteggiamenti scenici più liberi, allontanandosi dagli schemi usuali considerati limitativi, complici nella persistenza dei trucchi da “scatola magica” che è il Teatro.

Con il loro lavoro d’insieme – che somma danza, musica e allenamento – stimolano fondamentalmente l’immaginazione dello spettatore e collaborano per produrre una base affettiva che aiuti il lavoro dell’istrione in modo che sia partecipato realmente e profondamente dallo spettatore. […]

Musica di violino per accompagnare l’esilio dell’ebreo che ritorna in patria, mutazione della vergine nera, valore sacro dello sposalizio e dopo la strada che vediamo tutti i giorni, con la scoria sociale che balla meccanicamente il tango per dimenticare un po’ l’orrore e le umiliazioni.
Nostalgia onirica dell’ebreo; stivali scricchiolanti del soldato che schiacciano il clamore dei flauti; l’improvvisato tip tap del cieco, e attirano a sé la maschera della burla; il mito delle campagne con il nero totem che si sdoppia per occupare l’essenza del sacrificio.
Un sogno che si divide con l’emozione.
Non per “capire” ma per “sentire” in modo diretto e nudo”

J.H.Alvarez Rendon, “Un sueño que se comparte”, in “Diario de Yucatan”(Mexico), 31 ottobre 1981).