Sogno di una cosa (1984)

SOGNO DI UNA COSA (1984)
Dramma storico sulla vita di Rosa Luxemburg

Diretto da Horacio Czertok e Cora Herrendorf
In scena Cora Herrendorf, Marcello Monaco, Paolo Nani, Harald Schmidt, Antonio Tassinari, Nicoletta Zabini

Recensioni

“…un incubo di una durezza inesorabile e penetrante. Una visione che non si sofferma su elucubrazioni politiche, ma che condensa in un’ora la tragedia di un essere umano : una impresa enorme data la grande concentrazione di significati e l’assenza dell’utilizzo della parola…”

Der Tages Spiegel, Berlin (D)

“…un teatro di ricerca, di concentrazione, scientifico e duro…ho percepito la relazione con l’attore, ho raccolto i suoi impulsi e ho trascorso il tempo entusiasmato per il lavoro di alcuni attori che hanno dato tutto sopra un incerato grigio e dinanzi ad un pubblico che ha apprezzato questa lezione di teatro…”

La Verdad, Murcia (ES)

Sapere che sarai ucciso come un animale, potere eppure non volere evitarlo.
Ci sono nella Storia dei morti che ci turbano.
Berlino, 1919
La rivoluzione è esplosa, nelle strade gli spartachisti non riescono a governare la situazione, dilaniati dalle conflittualità interne.
il Governo ordina all’esercito di risolvere il problema politico.

Rosa Luxemburg, professione rivoluzionaria, sa di essere ricercata, i suoi compagni vogliono che si nasconda, sfuggendo ad una morte inutile.
Lei si oppone, dice di voler assumere fino alle estreme conseguenze il suo impegno politico. Lo spettacolo tratta di questo conflitto, del quale di volta in volta sono evocati diversi momenti.
Corrono ombre sopra le rovine fumanti di culture oggi scomparse, bruciate per sempre nei forni a cielo aperto dell’ultima guerra.
Coloro i cui fratelli, genitori o cugini, emigrarono nelle Americhe, uno dei quali sarà mio nonno, medico ebreo, contadino in un villaggio allora polacco oggi terra russa in ogni caso raso al suolo; mio padre nei cui occhi imparerò a leggere, dietro l’apparente sicurezza, un perenne sconcerto, lo stupore di vivere, di sopravvivere.
Altri cugini allora, in qualche modo, i Luxemburg, erano queste le ombre – confuse con le altre – che emergevano dal lavoro dei miei compagni, portatori inconsapevoli.

Appoggiarsi a queste presenze, invocate nell’incontro quotidiano, perchè possa essere possibile ancora raccontare di ribellioni e rivoluzioni, di essere umani capaci di dire sì e di dire no, di sparare se è necessario per difendere la libertà, dell’amore che nasce e che muore, dell’etica rivoluzionaria che degenera in macchina di tortura.
Il lavoro: uniti mettersi d’accordo sui percorsi, i ritmi e le azioni da compiere minuziosamente, in modo da creare le sponde dentro le quali sia possibile un vuoto variabile, che ogni volta sia proposto allo spettatore, colmo di un presente che pulsa nei corpi di entrambi.

La sfida: essere efficaci per conquistare il diritto ad essere stupidi.