A maggio 2024, in occasione dei 50 anni della nostra compagnia, abbiamo realizzato il Rabicano Festival Internazionale di Teatro per gli Spazi Aperti, portando il teatro di più di 30 compagnie di tutta Europa per le piazze, le vie e i parchi di Ferrara. Durante il festival si sono svolti anche convegni e laboratori, tra cui il laboratorio di critica teatrale a cura di Michele Pascarella dal titolo “CHE CAVOLO GUARDI?”, attraverso il quale i/le partecipanti hanno intrapreso un percorso consistente nel racconto degli spettacoli del festival con parole scritte, disegni e/o altre forme, interrogandosi sul gesto decisivo ed elementare dello sguardo e su come esso, in maniera inconsapevole, crei il reale.
Alcunə dei/delle partecipanti hanno voluto condividere parte delle riflessioni emerse dal laboratorio:
“Fleurs” – Baracca dei Buffoni
Foto di Daniele Mantovani
È maggio, il mese del palio a Ferrara, ed è nella svagatezza borghese del sabato pomeriggio che mi ritrovo ad aspettare di vedere almeno uno degli spettacoli del Rabicano Festival (a cura di Teatro Nucleo, se vuoi saperne di più c’è un bel pezzo di Michele Pascarella su Gagarin Magazine). Le bancarelle offrono prelibatezze da tutta Italia, che non si capisce bene se siano un affare o una fregatura, ed i ferraresi si confondono con i turisti in una fiumana di persone che scorre lenta lungo tutte le vie e viuzze del centro storico. È in un piazzale/parcheggio che finalmente scorgo cinque personaggi in costume, che indugiano: i nasi del pubblico sono già per aria, attratti dai costumi di uno sgargiante bianco panna. C’è un’aria di attesa, tra le auto che cercano parcheggio e le persone che si fermano. Ed ecco che i cinque si posizionano: in testa il capocomico, paffuto con un simpatico cappellino incollato alla pelata, a seguire due trampoliere e due attori a terra. Il capocomico fa partire la musica al massimo volume da un carretto, mentre i quattro figuranti impugnano degli ombrelloni di tulle, anch’essi dello stesso sgargiante bianco panna. Nella strada già congestionata si crea un capannello, mentre la compagnia esegue danze semplici e geometriche.
Nonostante non succeda quasi nulla la gente resta a guardare, e, quando il gruppo procede per ripetere la
danza un poco più avanti, si forma una sorta di processione, e non si capisce quanto sia voluta e quanto dovuta all’ingorgo. Ma la gente sembra felice, fa tante foto, indica, nonostante attori e attrici restino nel
proprio mondo, con lo sguardo distaccato ed etereo. Fleurs, fiori, si intitola la parata della Baracca dei
Buffoni, e se da una parte riporta la meraviglia dei colori e delle forme, dall’altra non ne sento la carica di
sensualità, che è poi la funzione che hanno i fiori in natura: resta solo una scia di polline dorato che evapora presto tra il via vai concitato della folla del sabato, ormai diventato sabato sera.
– Antonio Irre
“Dakini” – Paloma Hurtado / Cia Hojarasca
Foto di Elena Ragazzi
Dakini
Spettacolo di danza all’interno del Rabicano Festival. Festival gratuito e aperto a tutti, ma non per questo
semplice. Anzi ‘scomodo’, direi.
A cominciare dal fatto che non ci si poteva rilassare in poltrona e ‘spegnere’ il mondo fuori insieme alle luci
di sala. Poi perché presentato nei vicoli e nelle piazze della città. Ci è venuto a cercare. Arrivando a coinvolgere tutti: chi era andato lì per assistere agli spettacoli, i piacevolmente sorpresi e gli infastiditi. Con i performer che sono anche entrati fra il pubblico per interagire con esso.
Inoltre siamo stati indotti ad uscire dalla nostra comfort zone per i temi trattati. In Dakini, ad esempio, è
molto forte il tema del cambiamento, a partire dalla nostra relazione con la Terra e con il nostro lato ‘nero’.
Cambiamento non facile, ma possibile.
Uno spettacolo che non offre né risposte né illusioni. Anzi apre domande, sia al singolo che alla comunità,
passandoci un fiore-testimone, perché adesso tocca a me/noi.
– Monica Coletti
“Arka” – Teatr Ósmego Dnia
Foto di Daniele Mantovani
Ciao Michele!
Ti volevo ringraziare ancora del viaggio cognitivo, umano e emozionale che ci hai fatto fare. È stata
un’esperienza liberatoria e di grande ispirazione. Per me le espressioni artistiche dovrebbero sprigionare
creatività e condivisione, voglia di vivere e di comunicare, di comprendersi (il proprio io con tutte le sue falle e fragilità, ma anche l’altro) non di gareggiare. Il termine “inclusione” suona molto tecnico, però va
nella stessa direzione. Per fortuna ci hai anche spronato a frequentare gli spettacoli del festival, che per me sono stati un’ulteriore esperienza folgorante.
Ti parlerò solo di ARKA del Teatr Ósmego Dnia. Come già detto durante l’ultima lezione mi ha colpito
particolarmente lo spettacolo come evento collettivo in cui si fondono attori e pubblico in un’unica massa
vibrante di corpi, emozioni, macchinari. Lo spettacolo consisteva in un susseguirsi di sequenze più o meno
concrete, la festa di nozze, interrotta da un carro impazzito che sputava fuoco, finestre infuocate che
lentamente attraversavano tutta la piazza, personaggi con valigie fumanti che faticosissimamente si spostavano, fino a una fuga su una nave che a un certo punto spiegava le ali, come il volo verso una libertà
utopica.
Ho avvertito un’estasi collettiva, un fondersi di anime che ha avuto un aspetto mistico e spirituale. Sono
cresciuto in un contesto cattolico fondamentalista e fin dalla pubertà ho sempre rifiutato quella
manipolazione emozionale che subivo nelle funzioni religiose (apice: la banda che alla fine della
processione del Corpus Domini suonava davanti al monumento dei caduti) e che troppo spesso mi
evocavano documentari sul nazismo con fiaccolate, marce, canti. ARKA mi ha fatto vivere emozioni simili,
però in un contesto anarchico, in cui non c’era la volontà di indottrinare, bensì di contagiare tramite
l’empatia.
Tutto questo forse è un po’ confuso (anarchico???), ti parlavo anche di un’azione scenica che si girava come
un coltello nella pancia della gente, però è quello che provavo.
Se tu dovessi organizzare altri corsi o workshop nei paraggi sarei molto interessato a seguirli. La tua cultura,
apertura mentale e anche il tuo sottile umorismo ci hanno veramente spinti in scenari finora inesplorati.
Ancora grazie tante e spero a presto!
– Christian Försch